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        Chiesa di Santa Croce   Tuscania (VT) 
        dall'
         8 dicembre 2002 al 6 gennaio 
        2003         
		
		
		  a
        cura di 
		Enrico ANSELMI                                                   
                        
        
		
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 La
        memoria è un dono divino concesso agli uomini per imparare a non
        dimenticare. La memoria intreccia i suoi fili,
        esili per il tempo trascorso, a quell’appannarsi delle forme che
        addolcisce i contorni e scialba i colori, affinché
        non si  ricada negli errori
        del passato. Le figure, gli abbracci, le antiche affinità per elezione,
        pur sfaldate,
        ristagnano in languori sopiti e nascosti, che la mente, sollecitata
        talvolta da un impulso non spiegato,
        riporta in vita. In un risveglio di coscienza, in una sorta di
        prospettiva aerea frantumata e sconnessa,
        come parolibere, come paesaggi
        cubisti, s’interpongono l’aria, i respiri, le grida, gli orrori, le inquietudini,
        le morti e le resurrezioni di cui il cammino dell’uomo è costellato. 
 “Caino disse al fratello Abele: ‘Andiamo in campagna!’. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise…Gli Israeliti gemettero per la loro schiavitù, alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio…Le acque ritornarono e sommersero i carri e i cavalieri di tutto l’esercito del faraone… Cantami o diva del Pelide Achille l’ira funesta che infiniti addusse lutti agli Achei…Nella notte del 24 agosto (San Bartolomeo), Enrico di Guisa diede il segnale della carneficina. Da Parigi il massacro si estese a tutta la Francia…Voi che vivete sicuri/ Nelle vostre tiepide case/ Voi che trovate tornando a sera/ Il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo/ Che lavora nel fango/ Che non conosce pace/ Che lotta per mezzo pane / Che muore per un sì o per un no…E’ un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze, le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Vedo
        il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte
        l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure,
        partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il
        cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente
        al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno
        l’ordine, la pace e la serenità…Tamar
        dice che in realtà non ci siamo mai liberati da questa tragedia. I
        nostri figli, e i figli dei nostri figli
        devono sapere. E così pure i figli del mondo intero. Perdonate, disse una volta Ben Gurion, ma non dimenticate mai…Da molti anni desideravo scrivere dei
        Finzi-Contini – di Micòl e di Alberto, del professor Ermanno
        e della signora Olga - e di quanti altri abitavano o come me
        frequentavano la casa di corso Ercole I d’Este,
        a Ferrara, poco prima che scoppiasse l’ultima guerra. Di lei e dei
        suoi ho già detto in principio quale sia stata
        la sorte…Crolla anche la seconda torre del World Trade Center….Amir,
        che aveva perso una gamba per lo
        scoppio di una mina antiuomo, ora può tornare a camminare grazie ad una
        protesi…E la colomba tornò a lui sul
        far della sera; ecco, essa aveva nel becco un ramoscello di
        ulivo…Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare
        la colomba; essa non tornò più da lui…”.   La
        più recente produzione di Barbara Mindel non è solo arte ma vuole
        essere un’operazione culturale nel significato
        più ampio del termine. E’ anche e soprattutto un impegno etico che
        trova espressione in questa mostra
        dal titolo Shoà. Vuole essere
        una chiara presa di posizione contro ogni forma di violenza, di ottusa ortodossia,
        di accecamento e sonno della ragione da qualunque parte provengano e
        contro chiunque siano dirette.
        E’ anche la sottesa forma di assunzione di un impegno da spendere
        nella quotidianità, nella normalità dei
        rapporti. 
 In questa ottica e secondo il percorso che l’artista ha avviato grazie ad un processo creativo modulare, Shoà nasce come un itinerario attraverso il ricordo, il ricordo dei propri cari, spentisi nei loro letti, e di tanti altri, troppi, “passati per un camino”. Il processo creativo prende avvio dall’utilizzo di elementi basilari che ricorrono nella produzione dell’artista. Il triangolo si innesta ad un altro per formare la Stella di Davide, o si replica nell’analogon funerario e piramidale delle installazioni che ricordano l’elemento maschile e femminile. La stella è Origine, in cui la stoffa si trasfigura in rilievo, in fregio fino a perdere le caratteristiche materiche che le sono proprie e diventare superficie pittorica, come desunta dalla pittura è la serie di rapporti luministici che si concretizzano in fondali tesi, in convessità lucide là dove sono alloggiate le uova. 
		La
        numerazione ricorda le masse sacrificate e nello stesso tempo rievoca le
        cifre simboliche del perfetto compimento,
        e dei suoi multipli. Le figure, trapunte nella stoffa, si legano in un
        inno struggente nel ricordo che schianta
        il petto, e dichiarano di essere partecipi della stessa condizione umana
        che può essere avvilita dal carnefice,
        dal cecchino, dal corruttore, o esaltata dal poeta, dal “pazzo”, dal
        santo. L’apice evocativo è raggiunto
        dall’artista in Emergente,
        ovvero l’opera che più delle altre coglie la forza del ricordo
        per quanti non sono
        più, visibili soltanto perché riflessi nello specchio. Non corpi veri,
        ma parvenze di essi, sono forse l’eco di tante
        letterarie apparizioni, che fissate sul supporto acquistano quasi la
        sacralità di nuovi Penati, di numi tutelari
        della famiglia, della famiglia umana.  
 La stoffa è candida, di trama semplice, tesa e pura come un acuto, dolente come marmo su cui scolpire un epitaffio, ma è anche loquace, garrula e debordante come una fonte d’acqua. Veste di sposa e sudario, incarnato di vergine fiamminga, fascia di neonato, pagina su cui scrivere, è usata con assoluta perizia mai fine a
        se stessa. 
 In questa serie le uova sono l’emblema per eccellenza, incarnano nuove entità, purezze che travalicano la consunzione dei corpi. Segnano la stella di Origine, si moltiplicano replicate dagli specchi di Riflessione e si attestano fisse e ieratiche, quasi come corpi metafisici posti all’interno di incasellamenti a colombaio. In questo l’uso delle fonti di luce è investito di un ruolo quasi teatrale, scenografico. Lo spot frontale può occhieggiare sulla sfericità, rendere l’uovo dipinto di bianco un vero e proprio rilievo scultoreo; invece quando è nascosta e interna all’opera la luce è assorbita dal volume scuro dell’uovo che si smaterializza. In tal modo strumenti formali e contenuti sono usati per concorrere ad un unico scopo: identità di significante e significato. 
 
		Le due installazioni impostate anch’esse sulla triangolazione portano 
		oltre i significati linguistici già enunciati i tutte
        le opere, la cui spazialità era amplificata dall’utilizzo degli
        specchi. Lì il riguardante era invitato, ma soltanto
        invitato, ad entrare idealmente nell’opera come se questa fosse la
        porta di uno spazio fittizio comunque
        praticabile, ora con la teoria di grandi triangoli alti e distanziati
        tra loro il riguardante è fisicamente costretto
        ad entrare all’interno di una scatola prospettica, di un luogo dove
        l’oggetto artistico è un modulo costruttivo
        di uno spazio reale, misurabile e percorribile.   Enrico Anselmi   | |||
| Per contattare l'artista - barbara.mindel@gmail.com | |||
| SPONSOR: 
 
 Comune di BOMARZO 
 Provincia di Viterbo | |||
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